leader ‹lìidë› s. ingl. [ant. lœdere, der. di lœdan, mod. (to) lead «guidare»] (pl. leaders ‹lìidë∫›), usato in ital. al masch. e al femm. – 1. Capo di un partito, di un movimento d’idee, di un’organizzazione, di un gruppo.
A molti capita di avere nell’elenco telefonico dei contatti di persone aggiunti in tarda serata.
Persone identificate, quando va bene, solo da un nome proprio: Nicola, Maria, Marta. Persone ai cui nomi fai fatica a dare un volto già il giorno dopo.
Quando va male nella rubrica ti trovi contatti dal nome “coso”, “tizia”, “boh”.
Non lui, il leader no. Lui è magnetico. Di lui non ti dimentichi.
Il leader, dicono, quando entra in una stanza lo noti. Tutti stanno in silenzio e lo guardano con un’aria di assoluto rispetto. Quando lui parla, tutti tacciono. La sua voce è più forte. No, non più alta, più forte.
Eppure, a volte, il leader è scelto casualmente, dal fato e dalle circostanze. A volte, troppe volte, la gente segue il leader non perché abbia un obiettivo e una direzione chiara e utile per la comunità, ma solo perché ostenta sicurezza.
È il caso del leader di Świnoujście. Facciamo un passo indietro. Sono gli anni novanta, quando esisteva (esiste ancora ma non è più lo stesso) una cosa chiamata interrail.
Un biglietto che, a prezzo modico, ti permetteva di prendere ogni treno in Europa. Questo in un’epoca in cui le low cost non erano nemmeno all’orizzonte. Moltissimi giovani in Europa lo utilizzavano, tanto che, viaggiando, si incontrava una vera e propria community. Ognuno aveva i suoi trucchi per sfruttare il biglietto al meglio. Noi viaggiavamo con un budget di ottocentomila lire per due mesi.
Spesso per ottimizzare si dormiva in treno creando itinerari improbabili che attraversavano l’Europa solo per dormire nello scompartimento. Per riuscire a dormire in treno il trucco era entrare per primi, in tre, conquistare uno scompartimento manu militari e fingere di dormire. Nessuno (o quasi) osava aprire uno scompartimento dove la gente dormiva. Per assicurarci lo scompartimento scagliavamo il nostro amico più magro e agile nel treno attraverso il finestrino aperto. A volte lo scagliavamo nel treno sbagliato: scendi! scendi! è il treno sbagliato! L’amico, quindi, marcava il territorio occupando ogni sedile con i nostri zaini. Non esistevano i vari Booking e TripAdvisor. Per scegliere dove dormire c’era il volantinaggio nei treni (specialmente a Budapest, patria della cotoletta economica di Szena Ter) o il passaparola della comunità.
Anche io periodicamente sentivo l’ebbrezza di essere il leader in quanto possessore del sacro libro degli orari dei treni di tutta Europa della Thomas Cook, la Bibbia dell’interrailer che solo pochi mistici eletti possedevano.
Folle di viaggiatori si rivolgevano a me come a un oracolo. Per una birra offrivo orari per combinazioni assurde per andare dall’Estonia al Portogallo, da Andorra a Sofia, da Parigi ad Ankara. In Polonia, una di queste combinazioni ci aveva portato a Świnoujście. Non ricordo dove stavamo andando. Forse in Lituania, forse a sud, verso i Tatra. Ricordo solo che bisognava scendere dal treno in questa stazione dal nome impronunciabile per prendere una coincidenza verso la nostra destinazione finale. In quanto guru degli orari, una folla di almeno 40 persone diretta verso la nostra stessa destinazione si era affidata ai miei calcoli e mi aveva seguito al luogo impronunciabile.
Una volta arrivati lì, bisognava però dirigersi verso il binario dal quale sarebbe partito il nuovo treno. Sono circa le tre di notte e la folla inizia a guardarmi in cerca di una risposta che non ho. Tutto è scritto in polacco e non ho idea di dove sia il binario. Alzo le spalle come per dire: boh! Io so gli orari, mica pure i binari. Se li avessi saputi mi avrebbero fatto capostazione. I 40 discepoli cominciano a fremere, si sente aria di ribellione, la mia leadership non è più così salda. Qualcuno addirittura azzarda: “quando c’era l’altro tipo con la Thomas Cook, i treni arrivavano puntuali”. Cerco di prendere tempo fingendo di leggere i cartelli in polacco, ostentando sicurezza e fingendo di comprendere quello che leggo.
Quand’ecco apparire il leader. Un ragazzo sui trent’anni, postura eretta e sguardo penetrante. Avanza con passo deciso. Ostenta sicurezza. Si legge in volto che sa dove deve andare, che lui non deve chiedere a nessun oracolo perché lui è l’oracolo.
Come un gregge segue il suo pastore tutti iniziano a seguirlo.
Cammina con passo spedito e con lo sguardo fisso alla meta. Lui è il nostro messia, lui sa da dove parte il prossimo treno. Lui è il leader. Iniziamo a seguirlo con la stessa fede con cui i soldati seguivano Alessandro Magno nelle sue conquiste.
Prende spedito un sottopassaggio. L’esercito di 40 interrailer prende il sottopassaggio con lui.
Esce dal sottopassaggio, al binario uno. Tutti al binario uno.
Cammina seguendo il binario uno. Tutti dietro di lui.
Costeggia il binario, come per raggiungere un’altra banchina, per arrivare alla quale è necessario attraversare una zona scarsamente illuminata e stretta.
L’esercito è costretto a mettersi in fila indiana dietro al leader perché il passaggio è troppo buio e troppo stretto. Qualcuno inizia a insinuare il dubbio che il leader non abbia così chiari gli obiettivi, ma nessuno smette di seguirlo . Alla fine del passaggio stretto, nella zona più buia il leader all’improvviso si ferma, all’altezza di un cespuglio. È arrivato. Siamo arrivati. Porta la mano alla cerniera, la apre e si volta verso un cespuglio. L’esercito assiste al leader che crea un fiume dove prima c’era il deserto. Il leader si lascia andare a un “ah” liberatorio mentre chiude la cerniera.
Qualcuno, che non ha ancora capito, gli chiede: “ma da che binario parte il treno?“
E il leader “che ne so?”.
– ma allora dove stavi correndo?
E il leader: Secondo te?, scrollando la sorgente del fiume ormai secca.